L’Italia si trova ad affrontare una crisi senza precedenti nel settore del riciclo della plastica, con numerosi impianti fermi e raccolte differenziate in stallo.
La situazione, che da mesi dava segnali di allarme, oggi è esplosa diventando un’emergenza ambientale e industriale.
Alla radice del problema c’è un paradosso economico: le plastiche vergini importate a basso costo dall’Asia rendono il materiale riciclato meno competitivo, gettando nel caos l’intera filiera nazionale.
La crisi del riciclo della plastica: impianti bloccati e raccolte in affanno
Gli impianti italiani di riciclo della plastica stanno sospendendo le attività a causa della difficoltà nel vendere il materiale rigenerato. Questa paralisi produce un effetto domino che coinvolge a valle gli impianti di selezione e, in alcuni territori, persino la raccolta differenziata, che si trova costretta a interrompere il ritiro degli imballaggi in plastica per via dei limiti di stoccaggio esauriti.

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Nel Sud Italia, diversi comuni hanno già adottato questa misura emergenziale. Il problema investe in modo particolare il PET delle bottiglie. Antonio Dentis, presidente del consorzio Coripet, sottolinea che attualmente il contenuto di PET riciclato nelle bottiglie è sceso sotto il 16%, mentre i costi dell’r-PET risultano fino al doppio rispetto ai polimeri vergini importati dall’Asia.
La normativa italiana obbliga l’uso di materiale riciclato, ma manca un sistema sanzionatorio efficace, lasciando così spazio a un effetto dumping che penalizza chi investe nel riciclo di qualità.
Questa situazione rende difficilmente raggiungibili gli obiettivi fissati dalla Direttiva SUP (Single-Use Plastics), che impone un contenuto minimo di riciclato del 25% nelle bottiglie in PET entro il 2025 e del 30% entro il 2030 per tutte le bottiglie per bevande.
Un audit della Corte dei Conti Europea pubblicato a maggio 2024 aveva già evidenziato come in Italia, così come in altri Stati membri, la maggior parte della plastica inviata al riciclo non trovasse un mercato sostenibile. Il documento denunciava inoltre controlli insufficienti sulle operazioni di riciclo e difficoltà nel monitorare la plastica esportata fuori dall’UE, elementi che hanno contribuito a un sistema vulnerabile agli squilibri del mercato globale.
In questo contesto, il sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi delle bevande, noto come DRS (Deposit Return Scheme), emerge come una possibile chiave di volta per risolvere la crisi. Silvia Ricci, coordinatrice della campagna “A Buon Rendere”, sottolinea che il DRS non è una soluzione universale per tutti i flussi di plastica, ma è l’unico sistema capace di intercettare fino al 98% delle bottiglie in plastica e altri imballaggi per bevande immessi al consumo.
Allarme plastica in Italia: impianti bloccati e solo il deposito cauzionale può evitarci il disastro
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